a Marechiaro
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Testo della canzone
Quanno sponta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fann’ a l’ammore,
se revotano l’onne de lu mare,
pe la priezza cagneno culore.
Quanno sponta la luna a Marechiare.
A Marechiare nce sta na fenesta,
pe’ la passione mia nce tuzzulea,
nu carofano adora int’a na testa,
passa l’acqua pe sotto e murmuléa,
A Marechiare nce sta na fenesta
Ah! Ah!
A Marechiare, a Marechiare,
nce sta na fenesta.
Chi dice ca li stelle so lucente
nun sape l’uocchie ca tu tiene nfronte.
Sti doje stelle li saccio io sulamente.
dint’a lu core ne tengo li ponte.
Chi dice ca li stelle so lucente?
Scetate, Carulì, ca l’aria è doce.
quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?
P’accompagnà li suone cu la voce
stasera na chitarra aggio portato.
Scetate, Carulì, ca l’aria è doce.
Ah! Ah!
O scetate, o scetate,
scetate, Carulì, ca l’area è doce.
Testo della canzone tradotto
Quando spunta la luna a Marechiaro,
anche i pesci fanno l’amore.
Si rivoltano le onde del mare:
per l’allegria cambiano colore.
Quando spunta la luna a Marechiaro.
A Marechiaro c’è una finestra:
la mia passione ci bussa.
Un garofano profuma in un vaso,
sotto passa l’acqua e mormora.
A Marechiaro c’è una finestra.
Ah! Ah!
A Marechiaro, a Marechiaro
c’è una finestra.
Chi dice che le stelle brillano,
non conosce questi occhi che hai in fronte.
Questi due stelle le conosco solo io,
nel cuore ne ho le punte.
Chi dice che le stelle brillano?
Svegliati, Carolina, che l’aria è dolce
Quando mai ho aspettato tanto tempo?
Per accompagnare i suoni con la voce,
questa sera ho portato una chitarra.
Svegliati Carolina, che l’aria è dolce.
Ah! Ah!
Svegliati, svegliati,
svegliati Carolina, che l’aria è dolce.
Esposizione commentata e ambientazione
Questi versi, tratti da un componimento poetico di Salvatore Di Giacomo del 1886 e messi in musica da Francesco Paolo Tosti, sono considerati in tutto il mondo, a un secolo e mezzo di distanza, alcuni tra i più splendidi ed evocativi della canzone napoletana. In essi viene dipinto uno scenario sognante e incantato, quasi idilliaco, di una notte al chiaro di luna a Marechiaro in cui il poeta dedica questa serenata alla sua innamorata. tutti gli elementi della natura concorrono, quasi consapevolmente, a creare la perfetta atmosfera romantica in cui l’uomo attende trepidante che Carulì si svegli e si affacci alla sua finestra.
Nel descrivere l’ambiente circostante ed evocarlo nitidamente nell’immaginario dell’ascoltatore, Di Giacomo usa un tono languido e intensamente visivo, senza tuttavia nascondere il lieve stato d’ansia che sottende l’attesa per la risposta dell’amata. Viene così dipinto un momento di apparente idillio che è al contempo effimero e interminabile.
L’ambientazione liricamente idealizzata di questo giovane e fugace amore è Marechiaro, una piccolissima baia del quartiere di Posillipo, in passato nota come Santa Maria del Faro per via dell’omonima chiesa, dove sorge un pittoresco borgo di pescatori che sembra ancora sospeso nel tempo, proprio come la lirica cercherebbe di rievocare. Tra casette abbarbicate a strapiombo sulla scogliera, ristorantini sul mare, reti da pesca ammassate e bagnarole ormeggiate, che insieme incorniciano un’ampia veduta sull’intero Golfo di Napoli, Marechiaro offre ancora oggi un’atmosfera romantica unica nel suo genere, che si dice diventi del tutto diversa e ancora più suggestiva di notte. A dispetto di quanto possa sembrare, il nome “Marechiaro” non si deve alla limpidezza delle acque della località, ma deriverebbe invece dal latino “mare planum”, in riferimento all’estrema quiete del tratto di mare protetto dagli scogli che circoscrivono la baia, un dettaglio visivo confermato dallo stesso Di Giacomo in alcuni suoi scritti saggistici.
Genesi e retroscena
Un velo di mistero e resoconti fuorvianti aleggia attorno alla scrittura di a Marechiaro. Nonostante la descrizione tanto nitida farebbe pensare che il poeta conoscesse la località intimamente, sembrerebbe infatti che Di Giacomo non fosse mai stato a Marechiaro di persona prima della stesura dei suoi versi, e che si fosse immaginato l’intero episodio mentr’era seduto a prendere un caffè al Gambrinus. Ciò lo confermerebbe lo stesso autore, che rivelò di aver visitato Marechiaro in due occasioni successivamente al componimento: una prima volta mentre accompagnava un’amica inglese, tale miss Mary, durante un giro in battello lungo il Golfo, quando ebbe modo di vedere la località da lontano, mentre un’altra volta durante una gita fatta con alcuni amici all’Aquarium di Napoli, quando fu invitato a fare un giro nel Golfo a bordo di un vaporetto della Stazione Zoologica; da lì a Marechiaro il passo fu breve e si ritrovarono tutti in un’osteria. Il proprietario, non riconoscendo il poeta, narrò alla comitiva che il celebre Di Giacomo era stato lì a pranzo e che dopo aver osservato la sua ormai defunta moglie affacciata a una delle finestre, compose la canzone; storia che, a quanto pare, era solito raccontare a tutti i turisti. Anche se la voce diffusa a macchia d’olio dall’oste era inventata, la finestrella, i garofani e una donna di nome Carolina che abitava lì esistevano davvero e sono sostenuti da diverse fonti storiche. A dispetto di quanto Di Giacomo afferma, rimane dunque un mistero se conoscesse o meno quel luogo prima di ispirarcisi. Di Giacomo ebbe per tutta la sua vita un rapporto tormentato con Marechiaro. Personalmente lo considerava un semplice esercizio stilistico con cui aveva voluto sperimentare da giovane ed era a detta sua troppo sdolcinato e infarcito di virtuosismi, per cui non ebbe mai intenzione di musicarlo, fino a quando il compositore Tosti non lo propose con insistenza. Il successo esagerato della canzone fu per il poeta una vera persecuzione che mise in ombra le sue opere più mature e di spessore, tanto che a un certo punto smise di frequentare le trattorie più rinomate per evitare di sentirla suonare a ripetizione. Ciò si rivelò però un’impresa vana persino il giorno del suo funerale.