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Testo della canzone

(Lui) Frutto ‘e granato mio, frutto ‘e granato,
quanto t’aggio stimato a tiempo antico!
Tiénete ‘o muccaturo arricamato,
tutta ‘sta rrobba mia t’a benedico…

(Lei) Quanto si’ bello e quanto si‘ curtese!
io t’ero indifferente e mo se vede;
tècchete ‘o muccaturo ‘e seta ingrese…
fossero accise ll’uommene e chi ‘e ccrede!

(Insieme) Fossero accise ll’uommene (’e ffemmene) e chi ‘e ccrede!
L’ammore s’è addurmuto,
nun ‘o pòzzo cchiù scetá…

(Lui) E quanno è chesto, siente che te dico:
Io faccio ’ammore cu na farenara;
tène nu magazzino ‘int’a nu vico,
ll‘uocchie ca tène só’ na cosa rara…

(Lei) E quanno è chesto: Io pure faccio ‘ammore
e a n’atu ninno mo tengo ’o penziero…
s’erano date a fuoco ánema e core:
mme só’ raccummannata a nu pumpiere…

(Insieme) Mme só’ raccumannata/o a nu pumpiere
Ah, lariulá

(Lui) Ah, vocca rossa comm‘a nu granato!
Chi ‘o ssape ‘o tiempo antico si è fernuto?
Chello ch’è certo è ch’io stó’ frasturnato,
e ‘o sapore d’o ppane aggio perduto!
Voglio campá cu te, murí cu tico!

(Lei) Si’ stato sempe bello e ntussecuso,
e pure, siente, vide che te dico,
nun mme ne ‘mporta ca si‘ furiuso:
voglio campá cu te, murí cu tico!

(Insieme) Ah, lariulà,
lariu-lariù-lariula!
L’ammore s’è scetato,
s’è scetato e lariulà!

Testo della canzone tradotto

(Lui) Frutto di melograno mio, frutto di melograno,
quanto ti ho stimato in tempo passato!
Prenditi il fazzoletto ricamato,
tutta questa mia roba te la benedico…

(Lei) Quanto sei bello e come sei cortese!
Io ti ero indifferente ed ora si vede;
Eccoti il fazzoletto di seta inglese…
che fossero uccisi gli uomini e chi a loro crede!

(Insieme) Che siano uccisi gli uomini (le donne)
e chi a loro crede!
L’amore si è addormentato,
non lo posso più svegliare…

(Lui) Se è così, ascolta cosa ti dico:
io faccio l’amore con una venditrice di farina;
Ha un magazzino in un vicolo,
gli occhi che ha sono una cosa rara…

(Lei) Se è così: anch’io faccio l’amore
e ad un altro giovanotto rivolgo il mio pensiero…
Si erano incendiate anima e cuore:
mi sono raccomandata ad un pompiere…

(Insieme) Mi sono raccomandata/o ad un pompiere
Ah, lariulá

(Lui) Ah, bocca rossa come un melograno!
Chi sa se il tempo antico è finito?
Quello che è certo è che sono frastornato,
e il sapore del pane ho perso!
Voglio vivere con te, morire con te!


(Lei) Sei sempre stato bello e irascibile,
eppure, senti, guarda quello che ti dico,
non mi importa che sei furioso:
Voglio vivere con te, morire con te!

(Insieme) Ah, lariulà,
lariu-lariù-lariula!
L’amore si è svegliato,
si è svegliato e lariulà!

Esposizione commentata e ambientazione
Lariulà, pubblicata per la prima volta in forma di canzone nel 1888, figlia anch’essa della collaborazione tra Di Giacomo e Costa, ha sia un tono che una tematica un po’ inusuali. Ispirandosi liberamente alle Odi di Orazio e agli stornelli, ma prendendo a piene mani anche dalla vita reale, la canzone si presenta come un acceso duetto botta e risposta tra due giovani fidanzati impegnati in un litigio, presumibilmente per futili motivi ma più che altro alimentato dai caratteri scontrosi e dal forte orgoglio di entrambi. La vicenda vuol essere uno spaccato umoristico di vita vissuta, ma è prima di tutto un dialogo sorprendentemente naturale e spontaneo tra due adolescenti del ceto povero, intrinsecamente permeato dalle dinamiche sottintese della vita nel vicolo. Nel centro storico partenopeo, ciascun vicolo era una realtà autonoma, un piccolo ecosistema autosufficiente e semi-isolato dagli altri in cui ognuno vive del lavoro che si è saputo inventare, dove amori immaturi e innocenti come quello della canzone possono sbocciare spontaneamente tra coetanei e dove gente invidiosa e indiscreta non deve impegnarsi molto per creare dicerie o mettere zizzania all’interno di una coppia.
La canzone inizia in medias res, con il litigio in corso, perciò non è chiaro quale sia il motivo, l’unica cosa certa è che la causa di discordia è esterna e nessuno dei due è colpevole, poiché è evidente che il bene che si vogliono è incondizionato. Per tutta la durata dello scambio i due sono praticamente ad armi pari; in un paio di occasioni, in linea coi valori dell’epoca, il ragazzo cerca di prendere il controllo aspettandosi la subordinazione della ragazza, che invece gli risponde per le rime e non gli concede neanche un centimetro di terreno, che si tratti di minacciare di restituire i regali estremamente economici che si sono fatti o di inventarsi un finto amante per far ingelosire l’altro, tanto che alla fine è proprio il ragazzo a scendere a miti consigli e riconoscere la futilità del pretesto iniziale, qualunque esso sia, di cui la fidanzata è palesemente innocente.
La ragazza, a sua volta, ammette di poter perdonare la permalosità del fidanzato, se significa poter continuare a stare insieme.

Genesi e retroscena
Il testo di Lariulà apparve per la prima volta sul Correre di Napoli 19 agosto 1888 grazie a Matilde Serao, che lo pubblicò nella rubrica “Api, Mosconi e Vespe”.
La canzone fu composta per partecipare in maniera scherzosa (“canzona a dispietto”) all’edizione di Piedigrotta del 1888 e per il testo Salvatore di Giacomo si ispirò a Orazio, una delle sue tante, seppur sottili, influenze classiche, e in particolare al carme L’amore ritrovato, presente nel terzo libro delle Odi. Di quel canto riprese il senso e lo schema a botta e risposta del dialogo tra Orazio e Lidia. Soprattutto ne riprese l’epilogo “Tecum vivere amem, tecum obeam libens” (Vorrei viver con te, con te morire), reso da Di Giacomo con “Voglio campà cu tte, murì cu ttico”.
A musicarlo fu ancora una volta Mario Costa, che elaborò un motivo “allegro e ricco di una freschezza impastata di sostanza lirica che rimanda alle migliori pagine dell’opera buffa napoletana”. C’è chi sostiene che la lirica originale fosse in realtà pensata per essere recitata in tono drammatico da una coppia di attori calati nei personaggi e che questo sia il modo più autentico e migliore per apprezzare il carme, mentre l’arrangiamento musicale non farebbe che sminuire e ridicolizzare il testo. Notevoli le interpretazioni di Fausto Cigliano e Miranda Martino. Tra le versioni in duetto si ricordano quelle di Pina Lamara e Mario Pasqualillo, Michele Montanari con Ebe De Paulis e, soprattutto, quella di Mina con Peppino De Filippo.